Le chiese della Parrocchia

Nonostante alcune fonti avanzino l’ipotesi che un tempo a Sant’Antonio esisteva solamente un altare, altri documenti confermano che la Chiesa venne benedetta e registrata dal vescovo Domenico Bollani nel 1567.

A conferma di ciò, un decreto di San Carlo Borromeo, postumo alla sua visita dell’agosto 1580 a Córteno, offre indicazioni precise che confermano l’effettiva esistenza di un piccolo tempio. Si legge, infatti, che «L’altare deve essere ridotto alla forma prescritta e deve essere chiuso da cancello. Qualche devoto deve procurare un pallio per l’altare ed in questa Chiesa il rettore di Córteno deve celebrare la Santa Messa una volta al mese ed in altri giorni, secondo la consuetudine».

Come è immediatamente intuibile, la Chiesa è dedicata a Sant’Antonio Abate, colui che meglio di tutti può incarnare il vissuto di questa frazione cortenese. Egli, infatti, è protettore dei fabbri, che hanno per secoli lavorato con grande tenacia presso le fucine di Les e nelle Valli di Sant’Antonio, dei fornaciai e dei carbonai ed anche delle bestie, abbondanti sulle malghe durante il periodo del pascolo.

La devozione al santo, rappresentato con caratteristico bastone a tau, oltre che con la campanella ed il maiale, aveva la sua massima espressione durante la festa a lui dedicata, occasione in cui i devoti offrivano la lana deponendola in grandi ceste collocate presso le porte della Chiesa, prima che essa venisse messa all’incanto al termine delle cerimonie.

Senza dimenticare che era usanza offrire in dono a Sant’Antonio il formaggio, la ricotta ed il burro della prima cagliata di ciascuna malga delle valli.

Per queste ragioni e poiché risulta raccolta nel cuore dell’abitato cortenese, la Chiesa fu meta di parecchi pellegrinaggi, sovente nel corso di guerre, siccità e pestilenze. Lo storico Giacomo Bianchi, in uno dei suoi libri, per esempio, ricorda come gli Aprichesi raggiunsero scalzi Sant’Antonio implorando l’intercessione del santo affinché potesse porre termine ad una lunghissima siccità.

Da un punto di vista architettonico, invece, la Chiesa dispone di una facciata suddivisa in tre ordini che dall’alto al basso ritraggono Sant’Antonio, San Luigi Gonzaga e Sant’Agnese, San Pietro e San Paolo. Un’immaginaria ma pur sempre simbolica direttrice collega il portone in legno con la croce in ferro battuto posta all’estremità dell’edifico sacro, passando per una finestra ricca di vetrofanie colorate.

All’interno, l’unica navata completa una struttura completamente rinascimentale. Non ci sono altari laterali, diversamente da molte altre Chiese della Valdicórteno.

La pala ad olio su tela di Ignoto, ma di scuola veneta, raffigura la Madonna con il Bambino e Sant’Antonio in contemplazione. Ai lati, dipinti, due angeli mostrano il Corpo ed il Sangue di Cristo, mentre dal cielo una folta schiera di cherubini beatificano la visione celeste del Santo. Completano la scena i quattro evangelisti, affrescati nel corso del Novecento da Giacomo Piccinini sulla volta del presbiterio.

Sulla volta della navata, invece, come pagine delle Sacre Scritture, scorrono alcuni episodi della vita di Sant’Antonio. Ecco quindi susseguirsi chiare immagini del santo che con il consenso evangelico vende tutto e segue il Signore, dona ai poveri i suoi averi prima di ritirarsi nel deserto, trova San Paolo eremita ed un corvo mandato da Dio li sfama con del pane, prima di essere molestato dai demoni e di liberare per divina grazia alcuni indemoniati.

Sono perlopiù dipinti di buona qualità e di istantanea comprensione: i demoni, per esempio, vengono qui rappresentati esattamente come nell’iconografia classica, ossia nelle vesti di lupo o pipistrello e comunque con orecchie e coda da animale.

 

 

Foto: Ivan Monti, Demetrio Gregorini

Testi: Ivan Monti